Approfondiamo il programma che gli archi di Theresia eseguiranno a Ginevra il 7 e 8 luglio al termine dello stage condotto da Chiara Banchini e Girolamo Bottiglieri.
Parlando di musica antica al giorno d’oggi viene quasi spontaneo fare immediato riferimento alla figura di Johann Sebastian Bach (1685 – 1750) come summa di tutto quanto è stato composto per lo meno fino all’inizio del romanticismo, ma sicuramente anche in riferimento alla musica contemporanea. Tuttavia, quest’influenza non è stata sempre così ovvia come lo è per noi al giorno d’oggi. La fama di Johann Sebastian Bach nel ‘700 era principalmente dovuta al suo virtuosismo strumentale ed alle sue composizioni per tastiere (organo e clavicembalo), mentre gran parte dei suoi lavori orchestrali e sacri cadde nell’oblio per diversi anni a partire dalla sua morte e per vari decenni a seguire. La sua opera ha però lasciato una traccia costante e persistente che ha influenzato le generazioni future.
Uno dei principali sostenitori della musica di Bach nel secondo settecento fu certamente il Barone Gottfried van Swieten (1733 – 1803), al quale siamo debitori di aver trasmesso a Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791) la curiosità e l’interesse verso Johann Sebastian Bach e Georg Friederich Händel. Negli anni 1782-1783, van Swieten condivise con Mozart i manoscritti di Bach che aveva portato con sé da Berlino, dove aveva vissuto dal 1770 al 1777 in veste di ambasciatore, a stretto contatto con la corte musicale di Federico Guglielmo II e quindi con Carl Philipp Emanuel Bach. Il legame è comprovato anche dal fatto che nel 1773 van Swieten commissionò direttamente a Carl Philipp un ciclo di sei Sinfonie per Archi (Wq 182).
Il 10 Aprile del 1782 Mozart scrisse a suo padre: “Ogni domenica mattina a mezzogiorno in punto vado dal Barone van Swieten, dove non si suona altro che Händel e Bach. Sto collezionando al momento le fughe di Bach (non solo Sebastian, ma anche Emanuel e Friedemann)”. Questo incontro con Bach fu cruciale per Mozart che decise di trascrivere per quartetto d’archi cinque fughe a tre e quattro voci dalla seconda parte del Wohltemperierte Klavier (n. 2, 7, 9, 8 e 5, raccolte come K 405 nel catalogo mozartiano), ed anche sei adagi e fughe a tre voci di Johann Sebastian e Wilhelm Friedemann (per trio d’archi, K 404a). Sulla scia di questa infatuazione musicale, Mozart produsse anche diverse composizioni per tastiera: una di queste, la Fuga in do minore per due pianoforti K 426 (1783), divenne la base dell’Adagio e Fuga per archi K 546, composta nel 1788. Nello stesso anno Mozart componeva anche la Sinfonia n. 41 K 551 Jupiter, che con il suo movimento fugato finale ci ricorda l’influenza bachiana all’interno del catalogo mozartiano.
Wilhelm Friedemann Bach (1710 – 1784), il figlio primogenito, Carl Philipp Emanuel Bach (1714 – 1788) ed il loro fratello da seconde nozze Johann Christian Bach (1735 – 1782) rappresentano l’eredità genetica e la continuazione della lezione musicale del padre. Fra questi tre fu certamente Carl Philipp ad ottenere la posizione più di rilievo, entrando al servizio di Federico Guglielmo II di Prussia a Berlino nel 1740 e successivamente succedendo al suo padrino, Georg Philipp Telemann (1681 – 1767) come Kapellmeister ad Amburgo, nel 1767. Carl Philipp Emanuel ci ha lasciato anche una breve ma rilevante nota autobiografica commissionatagli dal compositore e storico della musica Charles Burney (1726 – 1814), che ebbe occasione di incontrare personalmente ad Amburgo nel 1772. In questa breve autobiografia, Carl Philipp racconta il rapporto col padre e ci fornisce alcune importanti notizie riguardo alla sua attività. La stretta dipendenza dalle commissioni e dai brani destinati alle esecuzioni pubbliche risultò essere per Carl Philipp una stringente limitazione: “In alcune occasioni sono addirittura stato obbligato a seguire indicazioni ridicole, sebbene queste non esaltanti condizioni abbiano portato il mio intelletto ad elaborare alcune scoperte che altrimenti avrei potuto non realizzare”. Si coglie in queste parole il senso di frustrazione dello spirito libero del compositore che vuole ricercare e spingere i confini della pratica oltre la tradizione, scontrandosi con un pubblico che voleva invece mantenere uno status quo rassicurante e famigliare. Il Concerto per Flauto in re minore Wq 22, H. 425 può rappresentare uno di questi felici momenti in cui il compositore, pur assecondando il desiderio del committente (Federico Guglielmo II, abile suonatore di traverso) sia riuscito ad oltrepassare i limiti del consueto, creando un capolavoro dello Sturm und Drang musicale. Nel primo movimento, Allegro, l’orchestra d’archi incornicia i quattro momenti solistici del flauto, ma spesso intrecciando un dialogo intenso, fuggendo il ruolo di mero sottofondo d’accompagnamento. Dopo un elegantissimo secondo movimento Un Poco Andante in Re maggiore, denso di quella Empfindungen tanto cara a Bach, si ritorna ad attraversare una furiosa tempesta nel terzo movimento, Allegro di Molto.
Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 – 1847) fu un altro compositore la cui carriera fu irrimediabilmente segnata dall’incontro con la musica di Bach o, per meglio dire, della famiglia Bach. A causa del numero curioso di coincidenze che coinvolgono i percorsi incrociati dei membri delle famiglie Bach e Mendelssohn, era forse inevitabile che in retrospettiva Felix Mendelssohn sia diventato il nume tutelare della musica di Bach, salvandola dall’oblio. Il collegamento in questo caso sono due essenzialmente donne: la prima è la prozia di Felix, Sarah Itzig Levy (1761 – 1854). La casa della Itzig Levy a Berlino divenne sede di un fermento di attività musicali caratterizzate da una devozione particolare per la musica di Johann Sebastian Bach. La Itzig Levy era un’ottima musicista, avendo studiato clavicembalo con il primogenito di Bach, Wilhelm Friedemann; ella inoltre commissionò diverse composizioni di Carl Philipp Emanuel Bach, acquistando per suo tramite anche diversi manoscritti del padre. La sorella di Sarah Itzig Levy era Bella Salomon, la nonna materna di Felix Mendelssohn: anch’ella contribuì all’interesse del giovane compositore, regalandogli nel periodo fra la fine del 1823 e l’inizio del 1824 una copia della partitura della Passione secondo Matteo (oggi conservata alla Bodleian Library di Oxford). Questa monumentale opera sacra, dopo circa cento anni dalla data di composizione, venne finalmente ripresentata pubblicamente l’11 marzo 1829 alla Singakademie di Berlino, sotta la direzione dello stesso Mendelssohn dal pianoforte.
La Sinfonia per archi n. 7 in re minore fu composta da Mendelssohn all’età di 12 anni. Queste sinfonie erano essenzialmente dei compiti assegnati a Mendelssohn da Carl Zelter (1758 – 1832), suo insegnante di composizione ed a sua volta appassionato bachiano. Lo studioso di Mendelssohn R. Larry Todd sottolinea che lo “stile molto manierista” di molte delle sinfonie di archi di Felix, composte fra il 1821 ed il 1823, sarebbe stato influenzato proprio dalle Sinfonie per Archi commissionate dal Barone van Swieten a Carl Philipp Emanuel Bach. Mentre le prime sei sinfonie per archi sono tutte in tre movimenti, a partire dalla settima Mendelssohn cominciò a sperimentare con la forma più ampia in quattro movimenti, inserendo sia un Andante amorevole sia un Menuetto e Trio fra i due tempi estremi veloci (Allegro ed Allegro molto). Lungi dall’essere dei brevi compiti scolastici, questi composizioni giovanili contengono l’essenza dello sviluppo futuro del Mendelssohn maturo: caratterizzate da un marcato sentimento Sturm und Drang tendente al romanticismo, queste sinfonie sono fermamente radicate nella tradizione più elevata del contrappunto bachiano.