Haydn e Boccherini nel teatro di Theresia

By Theresia

October 26, 2014

di Elide Bergamaschi

LODI – Quanto sarebbe piaciuta alla grande sovrana illuminata la ciurma festosa che lo scorso 23 ottobre nella Chiesa di S. Francesco ha condotto il pubblico lodigiano attraverso un sorprendente itinerario nei chiaroscuri del tardo Settecento! Lei, Maria Teresa d’Austria, a cui la formazione di eccellenze europee under 30 nata dal coraggioso mecenatismo imprenditoriale del clavicembalista Mario Martinoli, avrebbe di certo riconosciuto nel fare musica della TYBO i cardini del suo Stato ideale: il rigore asburgico acceso da una più mediterranea solarità, l’esuberanza convogliata nei sicuri argini dell’equilibrio, la cultura del dialogo anche serrato come incrollabile radice di tolleranza. Quella lodigiana, organizzata dagli Amici della Musica come delizioso antipasto agli appuntamenti della Stagione, era per la Theresia Baroque Youth Orchestra, la prima di due tappe contigue culminate ieri sera con il concerto milanese alle Serate Musicali ed impreziosite dall’autorevole presenza di Chiara Banchini alla guida dell’orchestra. Un timone, il suo, che più che trascinare pareva saggiamente suggerire, rilanciare senza imperiosità, ammiccare piuttosto, in un raffinato gioco delle parti che contagiava le file di strumentisti ancor prima dell’uditorio. Sul leggio, posti a chiasmo come spade incrociate in gioioso duello, i nomi di Haydn e di Boccherini, con il loro linguaggio di frontiera fatto di nuove istanze da affermare e di più nostalgici sguardi retrospettivi ad un mondo ormai in dissoluzione. Autori dall’anagrafica quasi identica e dai destini lontani, che l’ascolto ravvicinato di pagine solitamente marginali consentiva di cogliere in pieghe inconsuete. In una partita a carte giocata in simmetria tra Ouvertures e Sinfonie, alla diurna cantabilità boccheriniana scolpita a colori vividi nell’arioso piglio di frasi come merletti si accostava la firma di un Haydn quasi enigmatico, geniale quanto insospettato macchinista di un teatro senza scene, capace di affondare il pennino in tinte inquietanti subito esorcizzate in azzimate danze. E come una clessidra, il gioco continuava rovesciandosi, contrapponendo dramma e burla, realtà e artificio; a snocciolarne i grani, la leggerezza armata di un impasto sonoro morbidissimo e all’occorrenza affilato, con i fiati pronti ad emergere, pastorali, dalle quinte brunite degli archi. In questa filologia senza stucchevolezza, la patina anticata decantava, naturalissima, sul fondo di una temperata spontaneità saldata al fuoco di un sentire attuale, pronta a piegarsi all’intuizione dell’istante, ad incresparsi al sussulto di un dettaglio che, ci scommettiamo, non sarà mai uguale a se stesso. Un’orchestra refrattaria alle etichette, e per questo già da ora vincente.
elide bergamaschi

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