Raffaele Nicoletti è uno dei nuovi componenti dell’orchestra. Siciliano, 29 anni, ha studiato a Catania fino al diploma, per spostarsi poi a Palermo con un’idea in testa: studiare violino barocco: “A Palermo insegna Enrico Onofri e c’è un dipartimento di musica antica estremamente ricco, con classi di canto, liuto, flauto, viola, attività cameristiche e orchestrali. Lì ho completato il triennio di primo livello, poi mi sono spostato a Londra, alla Royal Academy, per studiare in particolar modo con Rachel Podger.”
Dopo i due anni a Londra sei tornato a Palermo per frequentare il biennio di secondo livello: come mai? “Voglio continuare a studiare con Enrico Onofri, sicuramente non ho appreso tutto quello che potevo da lui, ho ancora molto da imparare. Inoltre trovo estremamente interessante l’ambiente di studio a Palermo: a Londra si punta molto sulla ‘performance practice’ e in un certo senso l’Academy tende a ricalcare l’ambito moderno; a Palermo c’è sicuramente un maggiore approfondimento sugli aspetti teorici e storici della prassi esecutiva.”
E non ti sarebbe piaciuto rimanere a Londra per viverci e lavorarci? “No, onestamente non ci abiterei, è una città troppo dispersiva; inoltre mi mancava, anche nella musica, una certa dimensione di rapporto con le altre persone: gli inglesi sono molto pragmatici e per loro la musica è un mestiere, per me è anche un insieme di relazioni e il mio modo di esprimermi.”
Quasi tutti i tuoi colleghi, italiani o stranieri, devono suonare anche il violino moderno per ragioni professionali: è così anche per te? Ed è un problema passare da uno strumento all’altro? “Anche a me capita di suonare moderno, in particolare in quartetto, ma non è un particolare problema: John Holloway ha detto che ‘il violinista barocco è barocco nella mente’ e io sono d’accordo. Certo, le corde di budello si comportano diversamente da quelle in metallo, ma è una difficoltà che si può agilmente superare”.
Per molti di voi Kraus è stata una scoperta: cosa ci dici di questo compositore? “Stupendo, semplicemente. Io adoro questi autori classici ma allo stesso tempo non così ‘strutturati’, rappresentano uno stile di transizione in cui la dialettica tra primo e secondo tema tipica della forma sonata non è così forte e sviluppata, ma ci sono mille sfumature. La Sinfonia in do minore mi fa pensare ai quadri di Turner, in particolare allo spettacolare ‘Londra brucia’.”
E come ha lavorato l’orchestra su questo tipo di repertorio? “Indubbiamente Astronio è un direttore molto raffinato, con un’immagine ben chiara di quello che vuole, e chiede molto a livello di dettagli, di contrasti. Quello che l’orchestra può e deve fare è diventare ancora più duttile, perdere alcune rigidità, per sentire più ‘nella pancia’ e non solo tecnicamente la musica. Lo stile classico non è solo raffinatezze, è lo specchio di un epoca piena di fermenti, di colore, di chiaroscuri.”
Come e dove ti vedi tra cinque o dieci anni? “Ovunque. E comunque sono convinto che il futuro sia adesso. Mi piace suonare in orchestra, ma anche in gruppi ristretti e in questo momento sto studiando anche clavicembalo: adoro suonare il continuo, e, chissà, magari sarà il mio futuro.”