MANTOVA – Parte con un appello Michele Dall’Ongaro, Presidente e Sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia e primo dei relatori della terza parte della tavola rotonda dedicata a Mantova a mecenatismo e comunicazione: “Impegnamoci tutti a dedicare a una operazione di lobbing una parte del nostro budget destinato alla comunicazione: sogno una martellante campagna per avere finalmente l’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado.” Cita Mascagni, e dopo lui Berlinguer, politici che si sono dedicati a questa battaglia nel silenzio generale. Perchè comunicare è importante, ma più importante ancora è avere orecchie che ascoltino. “Il pubblico è estremamente influenzato dall’esperienza che fa in giovane età: per chi viene da una famiglia in cui si ascolta musica è più naturale continuare a farlo anche in età adulta. Vale lo stesso per chi fa esperienza della musica a scuola o attraverso un’attività amatoriale: per questo alle nostre attività più tradizionali abbiamo affiancato cori e orchestre giovanili e una presenza di video sui canali social. Ma non solo: abbiamo interprellato direttamente i giovani, li abbiamo fatti parlare, ne sono uscite delle idee bellissime.” Perchè non basta fare cose belle, bisogna creare le condizioni per una condivisione che è anche costruzione di comunità. Questo vale anche per la ricerca dei fondi: “Una volta bastava presentarsi come Accademia di Santa Cecilia: ora non più e non perchè il nome non pesi. È cambiato il linguaggio e sono cambiate le motivazioni: ora è necessario parlare di etica e di valori condivisi.”
Di comunicazione che cambia ha parlato anche Barbara Minghetti, Direttrice dello Sferisterio di Macerata, richiamando però alla necessità di non considerare la comunicazione il centro del problema: “Al centro deve esserci sempre il contenuto, il progetto; piuttosto, ciò che è cambiato è il fatto che esiste – e non esisteva anni fa – una dimensione orizzontale in cui le competenze si incontro. Penso alla sfera “educational” di cui non si parlava fino a un po’ di anni fa.” E i social? Sono importanti, sì, ma non sono tutto: “Credo che per comunicare bene si debba tornare anche alla relazione personale, in cui l’empatia e l’emozione ci travolgano.”
Cambiano le istituzioni, cambia la comunicazione: Paolo Besana, Capo Ufficio Stampa della Scala ripercorre la strada fatta da quando la Scala viveva in “un’illusione di autosufficienza: vent’anni fa si erano ridotte le produzioni fino a 200 alzate di sipario l’anno e le recite erano sempre strapiene: col nuovo palcoscenico il numero di recite è aumentato e la Scala ha scoperto di avere bisogno di pubblico. Anche per questo negli anni abbiamo costruito un dialogo con le scuole che prima non c’era.” Però non bisogna mitizzare i nuovi media: i social, per Besana, non sono tutto: “Abbiamo un 15% di pubblico che viene a conoscenza degli spettacoli grazie ai manifesti affissi in strada, non è un dato da sottovalutare.” Piuttosto, quella dei social media è “una trasformazione che è anche un po’ antropologica: la tendenza è di promuovere la musica parlando di tuttìaltro, ovvero si esclude la musica dal discorso sulla musica.” D’altro canto, le nuove tecnologie offrono risorse ricchissime: “Stiamo concludendo il processo di digitalizzazione del nostro archivio e presto lo metteremo a disposizione.”
Le conclusioni ad Andrea Maulini, autore del volume “Comunicare la cultura oggi” (“sottolineo oggi, perchè domani tutto può cambiare”) ed esperto di marketing culturale: “Bisogna tenere presente che la cultura non può essere al servizio della comunicazione, ma è la comunicazione a dover essere a servizio della cultura: vale anche per il principio di innovazione, non si può chiedere alla comunicazione di innovare se non è il prodotto culturale in prima istanza a venire innovato.”