Paolo e Alberto Grazzi, la responsabilità dell’interpretazione
By Emilia CampagnaSeptember 16, 2018
I fiati di Theresia hanno lavorato per alcuni giorni con Alberto e Paolo Grazzi, rispettivamente fagottista e oboista dalla lunghissima esperienza, membri dell’Ensemble Zefiro fin dalla sua fondazione e riconosciuti Maestri a livello internazionale. Le lezioni si sono concentrate sul repertorio in programma nel concerto di oggi alla Fondazione Cosway, con un lavoro che è andato ben oltre alla pura finalità dell’esecuzione dei brani in concerto. Come spiegano entrambi, con una sintonia che viene dall’abitudine pluridecennale di lavorare assieme ancor più che dal fatto di essere gemelli, “abbiamo lavorato in modo che i ragazzi si prendessero la responsabilità di lavorare senza direttore. Per capire questa cosa da un punto di vista più ampio facciamo un passo indietro: tutto il mondo della esecuzione storicamente informata (come si chiama oggi quella che anni fa veniva chiamata la prassi filologica) parte da un presupposto importante, ovvero che ciascun musicista è parte attiva del processo interpretativo, non relegata al direttore o a chi ha redatto l’edizione critica.”
Però durante le prove avete detto qualcosa che sembra in contraddizione con questo principio, ovvero che per quanto un direttore sia bravo, mediocre o pessimo, si deve sempre realizzare quanto chiede immediatamente e bene: come si coniuga questo con l’idea di indipendenza e responsabilità?
“Il consiglio è prima di tutto pragmatico: la maggior parte dei giovani musicisti di Theresia probabilmente lavorerà in orchestra e in questo ruolo non ci si può contrapporre al direttore – almeno, non ci si può contrapporre troppo. Ma c’è un aspetto più profondo, ed è quello di abituarsi a fare lo sforzo di cambiare i propri punti di vista. Sgombriamo il campo dall’idea di una presunta naturalità dell’esecuzione musicale: ciò che può essere più affascinante è proprio scoprire quello che non è naturale per noi e con quello fare musica. Fare propria l’interpretazione altrui significa non eseguire meccanicamente quanto chiesto, ma comprenderne le ragioni. E’ anche un lavoro mentale, un ottimo allenamento.”
Nello specifico, come avete preparato la concertazione delle musiche di Rosetti e Danzi in programma stasera?
“Siamo partiti dalle parti singoli antiche e abbiamo trascritto tutti i segni sulla partitura moderna: poi li abbiamo interpretati perchè non c’era univocità tra una parte e l’altra. Del resto l’esigenza di una regola è un’esigenza moderna, nelle esecuzioni del tempo spesso non c’era la logica che muove le nostre scelte.”
Come mai non ci sono le partiture antiche di queste musiche ma solo le parti singole?
“Perchè non sono giunte fino a noi, e perchè la pratica dell’epoca era quella di distribuire solo le parti singole ai musicisti che poi avrebbero suonato. Si faceva così anche per un discorso di tutela, in modo che la partitura non potesse circolare e non venisse così copiata. Per dire come funzionavano le cose, ci sono trascrizioni di opere di Mozart per ottetto di fiati che vennero realizzate da componenti dell’orchestra in gran parte ad orecchio, sulla base di quello che si ricordavano, tanto che mancano pezzi di arie, intere sezioni.”
Tornando a noi, come si è tradotto tutto questo nel lavoro coi Fiati di Theresia?
“Abbiamo cercato soprattutto di portare i ragazzi a prendere coscienza del proprio ruolo e a dialogare. Il dialogo è tutto, spesso chi suona si concentra sul proprio strumento, sulla tecnica, sul virtuosismo. Invece la musica è un dialogo continuo: in una celebre frase il compositore Charles Avison definisce i quartetti di Haydn “un dialogo tra gentiluomini eruditi”, ed è quello che in effetti sono. Perchè anche se il primo violino può avere un ruolo di maggior rilievo, tutti gli strumenti contribuiscono attivamente a questo scambio di idee. Inoltre il punto su cui abbiamo insistito molto è il fatto di fare delle scelte e giustificare sempre, sulla base dell’armonia, della tessitura, dell’insieme con gli altri strumenti. Ci vuole consapevolezza: molti che vengono da corsi di strumento moderno pensano che nel momento in cui realizzano tutti i segni scritti presenti sulla partitura, il loro lavoro sia finito. In realtà non è così!”
Nei vostri discorsi sull’insegnamento e la trasmissione del sapere traspare una forte passione: la didattica ha una parte importante nella vostra attività?
“Sì, per entrambi. Purtroppo insegniamo in Conservatori diversi (Paolo a Verona, Alberto a Milano) quindi non possiamo fare progetti didattici assieme. Ma oltre all’attività concertistica con Zefiro l’insegnamento, tra Conservatorio e Master class, ha una parte importantissima.”