E’ la hausmusik ai tempi della sharing economy: i concerti nelle case private sono tornati prepotentemente di moda negli Stati Uniti grazie a una piattaforma social, Groupmuse, nata a Boston nel 2013 e cresciuta diffondendosi a New York, San Francisco e Seattle anche grazie a massicce campagne di crowdfunding.
“Salviamo la musica classica e la nostra vita sociale” lo slogan della piattaforma, nata da un gruppo di studenti del New England Conseratory che si riunivano a casa del pianista Christian Budu in “feste che facevano tremare le travi del tetto al suono della musica di Brahms fino a tarda notte”. Ad avere l’idea di una piattaforma social fu Sam Bodkin che mentre lavorava alla Boston Symphony Orchestra pensò di creare un mix “tra Couchsurfing e i concerti in casa dei miei amici del Conservatorio.” Come Sam Bodkin spiega in un’intervista, “Groupmuse è un social network che mette in connessione i musicisti con gli spazi privati: nascono così le feste con concerti di musica da camera, che chiamiamo ‘groupmuses’. Sono un’esperienza sia musicale che sociale, sia divertente che intellettualmente stimolante.”
I musicisti vengono pagati, grazie a un contributo libero che non è mai sotto i 10 dollari: questo nel caso di eventi aperti a tutta la comunità di Groupmuse. E di solito i musicisti si portano a casa in media 160 dollari per concerto. Se invece si vuole organizzare un evento privato con invitati selezionati, allora c’è un contributo fisso di 100 dollari alla piattaforma, che provvede a dare il compenso ai musicisti.
Groupmuse si è meritata l’attenzione del Guardian, che ha dedicato un articolo alla piattaforma in occasione della sua operazione di espansione fuori da Boston, in alcune città degli Stati Uniti; la forza di Groupmuse, scriveva Tom Service nell’articolo, non sta tanto nella novità (i concerti in casa c’erano anche ai tempi di Haydn e Schubert) quanto nell’efficacia della formula: “Chi ha avuto il privilegio di ascoltare da vicino dei buoni musicisti suonare quartetti o quintetti per pianoforte sa che non c’è migliore esperienza musicale: nasce una connessione simbiotica tra gli ascoltatori e gli esecutori, un vero e proprio spirito di gioia collettiva, di gioco e di piacere, e si ha l’occasione di sentire la musica con una profondità che la sala da concerto non permette del tutto. Inoltre è possibile bere quanto si vuole, scatenarsi a piacere prima e dopo, e si può anche parlare con i musicisti. Rispettando naturalmente, l’unica regola fondamentale su Groupmuse giustamente insiste, dare alla musica e ai musicisti il rispetto dovuto durante la performance.”
Più recentemente, Lydia Kontos sull’Huffington Post ha definito Groupmuse la via per salvare la musica classica da morte certa: se tra le fila degli auditorium e delle sale da concerto l’età media continua a salire, il social network si rivolge a millennials desiderosi di vivere la cultura in modo alternativo. E Wired lo chiama un “Uber per giovani che vogliono la musica in salotto”. Per noi, un altro tassello nell’universo delle forme alternative di sostegno alla cultura e, perchè no, un’occasione per esercitare azioni di mecenatismo in maniera creativa.