Più che un concerto, più che una rappresentazione: “Zoroastre” è un progetto che va oltre le definizioni e non si fa ingabbiare in un’etichetta. Diventerà un “film-concerto” con la regia di Gianni Di Capua – che ci ha raccontato la sua visione nell’intervista pubblicata sul nostro blog –, e a noi piace pensarlo come un viaggio in molte dimensioni (quella del tempo, della letteratura, dell’arte) che, come nel gioco di unire i puntini, svela connessioni e passioni sconosciute.
Nelle parole di Alessandro Taverna, curatore del progetto, si parte da Giacomo Casanova. La musica che suonerà Theresia è del francese Jean-Philippe Rameau, il soggetto è Zoroastro, i testi di Cahusac: ma il letterato veneziano è una pedina importante nel gioco delle parti. Casanova arrivò a Parigi nel 1750, già preceduto dalla nomea di seduttore senza scrupoli, ed attento ad “offrire ogni volta un’immagine con cui presentare se stesso che non corrisponda a quella precedente. Casanova è già in procinto di toccare tutte le forme del sapere del suo tempo accingendosi ad essere romanziere, saggista traduttore. A Parigi si preoccupa di perfezionare la conoscenza della lingua francese, così da non smentire l’aura cosmopolita.” Nella sua prima esperienza nel mondo del teatro parigino Casanova, quasi per un paradosso, assiste alle “Fêtes vénitiennes” di André Campra: “Arrivato a Parigi Casanova fa il suo ingresso all’Opéra e appena si alza il sipario si ritrova a Venezia. Stupore dell’avventuriero ancora poco più che trentenne che si sorprende a contemplare le scenografie delle Fêtes vénitiennes di André Campra e a ritrovare dipinte ‘la piazzetta San Marco vista dall’isoletta di San Giorgio.’ Salvo indignarsi quando si accorge che lo scenografo ha invertito la disposizione del Palazzo Ducale e del grande campanile rispetto alla realtà.” Molti anni dopo, Casanova scriverà proprio in francese la propria autobiografia, l’Histoire de ma vie, che ci permette di seguire le tracce dei suoi viaggi e di conoscere dettagli preziosi di quegli anni parigini, anche se tutto “è un miraggio dipinto che si dispiega mentre lui è già altrove, nel vortice di sensazioni offerte da Parigi. Casanova non si cura di trattenere il nome del maestro di musica autore delle Fêtes vénitiennes. André Campra sfugge alle pagine delle memorie, che non trattengono nemmeno il nome di Jean Philippe Rameu”.
Jean-Philippe Rameau è, ovviamente, un altro elemento fondamentale del nostro viaggio, del viaggio di Theresia dentro la musica di Zoroastro: per dare un ritratto del compositore, Alessandro Taverna cita Diderot: “In quell’ineffabile capolavoro che è ‘Le Neveu de Rameu’ è il celebre filosofo a schizzare con inchiostro indelebile un ritratto di Jean Philippe Rameau: ‘Quel celebre musicista che ci ha affrancati dal canto da chiesa di Lully che noi salmodiavamo da oltre un secolo e che nei suoi scritti ha esposto tante visioni incomprensibili e verità apocalittiche sulla musica, di cui né lui né nessun altro ha mai capito nulla e del quale ancora restano un numero di opere che contengono armonie, spunti di canto, idee scucite, fracasso, voli, trionfi, lanci, glorie, mormorii, vittorie mozzafiato, arie di danza che rimarranno eterne…’” Rameau, ovvero “l’eccezionalità di un compositore che trascorre i primi quarant’anni della sua vita lontano da qualsiasi eccezionalità.” Effettivamente Rameau non conoscerà il successo se non dopo i cinquant’anni, quando si dedicherà finalmente al teatro musicale dopo anni di pratica e scrittura organistica.
E infine, la passione del Mito: Zoroastro. Nella prefazione al libretto Louis de Cahusac scrive: “Non vi è alcuno nell’antichità di cui gli autori abbino tanto scritto e le nazioni raccontate tante favole. Non si accordarono però né su il tempo né su il luogo della di lui nascita e si ebbe poco men d’incertezza de paesi nei quali visse e dove morì”. Voltaire alla voce Zoroastre del suo Dictionnaire philosophique contribuisce ad accrescere lo smarrimento: “I persiani di oggi lo chiamano Zerdust o Zerrdast o Zaradast o Zarathrust. Non sembra sia stato il primo nome Zoroastre. Si narra di due altri Zoroastri di cui il primo è vecchio di novemila anni. Tanto per noi, molto poco per l’universo.”.
Così il mito: la musica? Per Alessandro Taverna “è difficile smarrirsi fra i cinque atti della tragédie lyrique composta dal letterato francese per la musica di Rameau per essere rappresentata all’Academie Royale de Musique. Lo spazio conta quanto le parole e la musica ed è compartito tra bene e male, tra luce e ombra, tra il sole adorato da Zoroastre e le tenebre dove si trattiene il suo rivale. Il gesto innovativo riconosciuto agli autori sta nella maestria di distribuire, atto dopo atto, l’azione su una scena che è essa stessa drammaturgia. Male e Bene sono assi d’orientamento per le situazioni quanto l’alto e il basso, la luce e il buio. In una tragédie lyrique fondata su un mondo di opposizioni che è parte dello zoroastrismo, la scena è disegnata su queste opposizioni elementari replicate dalle coppie di protagonisti in scena.”Lo Zoroastro di Rameau andò in scena il 5 dicembre 1749, con le scene del venziano Pietro Algieri e una novità che destò stupore: “In sala subito si diffonde lo stupore. Per la prima volta gli spettatori si sono ritrovati a sipario levato sull’azione, senza dover varcare la soglia di un prologo. Con un gesto clamoroso, l’ouverture assorbe la funzione del vecchio attrezzo consueto al teatro musicale secentesco con personificazioni e allegorie in carne e ossa. Stavolta c’è soltanto la musica a diffondere idee di luce e di ombra, a corrente alternata. Per tanti, come d’Alembert, Zoroastre è già l’opera più bella di Rameau. ‘In Zoroastre la potenza della Magia è svelata, ammirate l’energia della Musica’!” Ma l’opera di Rameau era troppo nuova, troppo carica di una magnifica diversità per non generare anche riprovazione nel pubblico più ampio: e anche qua, è la passione che muove tutto. Parigi non parla altro che dello Zoroastro, e il teatro, nonostante lo sfavore di parte del pubblico, è sempre pieno.
Ed ecco che si torna a Casanova: sua è la versione italiana del libretto, quando l’opera viene ripresa a Dresda nel febbraio del 1751: “A Dresda Casanova ritrova tutte le scene dello spettacolo di Parigi, la musica di un altro compositore e la madre, a servizio nel corpo di ballo dell’Opera. A misurare gli effetti del gesto dell’avventuriero tocca dar ragione a Michel Delon: ‘Don Juan conquiert. Casanova est conquis’. Casanova che un giorno ancora lontano procurerà una variante al libretto del Don Giovanni mozartiano, stavolta si è lasciato conquistare da Zoroastre.”
L’ultima tappa è la più vicina a noi: il tassello che completa la visione di Alessandro Taverna è Federico Fellini, quel Fellini che nel “suo” Casanova “presenta la propria visione sul mondo dell’opera. Una ribalta teatrale occupata da uno stuolo di cantanti vestiti con i costumi che si porterebbe ad associare ad un’opera barocca. Cimieri, pennacchi, armature con cui vestire un’umanità di cavalieri che spesso nascondono figure femminili. Un’Arcadia sospesa ad Ariosto – grande passione si Casanova – o a Tasso – dove il gioco delle ambiguità sessuali si fa più pericoloso – o a Metastasio – di cui le immagini che accompagnano le edizioni delle sue tragedie per musica richiamano irresistibilmente la fauna canora assiepata da Fellini alla ribalta di questo teatro settecentesco affollato di spettatori fra i quali si riconosce, in platea anche Giacomo Casanova.” Sono proprio le scene di Zoroastre a figurare nella pellicola felliniana, e con loro la musica di Rameau, legate indissolubilmente alla figura di Casanova. Ed è come un cerchio che si chiude, nella città del Maestro del cinema italiano, Rimini.
La mappa è tracciata, i giochi sono pronti: non resta che tuffarsi nello Zoroastro, prima con i concerti di Theresia Youth Baroque Orchestra diretta da Claudio Astronio, poi con il film-concerto di Di Capua che suggellerà il viaggio nelle passioni.