Il progetto su Zoroastre, a cui ha preso parte la Theresia Youth Baroque Orchestra, si inserisce all’interno della programmazione della Sagra Musicale Malatestiana di Rimini, da anni un’ importante istituzione per quanto riguarda i concerti sinfonici e non solo. Abbiamo incontrato il Direttore Artistico della Sagra, Giampiero Piscaglia, che ci ha raccontato come si articola il festival e quali sono i progetti che ne fanno parte.
Quali sono le origini della Sagra Musicale Malatestiana?
Pensate che la Sagra Malatestiana nasce nel 1950. Nasce in una città come Rimini. Nasce ad opera dell’allora azienda di soggiorno che, proprio in quegli anni, faceva partire un modello di turismo di massa e che, contemporaneamente, faceva nascere un festival di musica cosiddetta classica. La Sagra nasce quattro anni dopo la Sagra Musicale Umbra, in quell’olimpo di festival di quegli anni che, bene o male, hanno fatto un pezzo della storia della musica in Italia. Da qui sono passati grandi direttori, grandi orchestre grandissimi solisti, tutti i più importanti d’Europa. Da allora ne ha fatta tanta di strada…
Come si articola la vostra programmazione?
Il nucleo centrale, diciamo la colonna vertebrale, sono ancora i grandi concerti sinfonici che si tengono in un auditorium da 1800 persone. 1800 paganti in una città piccola come Rimini sono un piccolo miracolo per quanto riguarda la musica sinfonica. Ma come tanti altri festival musicali, la Sagra ha poi articolato la propria programmazione, non una programmazione monotematica, non un fil rouge che dovrebbe artificiosamente, come succede in altri casi, tenere tutto insieme, con operazioni a posteriori che non hanno molto senso. Noi abbiamo preferito costruire dei nuclei tematici che punteggiano un percorso, un reticolo di percorsi lungo i quali il pubblico può incamminarsi. E alla fine di un festival come la Sagra Malatestiana non solo essersi un po’ divertito ma anche aver appreso qualcosa, perché il ruolo di un festival è anche quello di portare degli elementi di conoscenza. Io dico spesso: a volte partecipare ad un festival, e seguirlo tutto, vuol dire [frequentare] un anno di liceo classico, tanto i festival indagano, approfondiscono o un personaggio o un periodo storico.
Ci racconti delle produzioni proprie della Sagra.
La Sagra si è, come tanti altri festival, articolata nella propria programmazione. Una di queste articolazioni, assieme a tante come la musica barocca, la nuova musica, la musica di confine, è rappresentata dalle produzioni. La Sagra da molti anni propone delle produzioni sue, cioè cose che nascono qui e che poi hanno seguito anche in altri festival, altri teatri. In modo particolare negli ultimi anni abbiamo consolidato un rapporto con Roma Europa Festival. In queste produzioni c’è un filone che riguarda le giovani, o anche affermate, compagnie teatrali di ricerca alle quali affidiamo una partitura musicale, che magari non era stata pensata per la scena. Siamo certi che questo esperimento di affidare la regia di partiture musicali al mondo della ricerca teatrale, che non ha mai frequentato la musica, che non conosce e non ha mai affrontato il pentagramma, nel corso degli anni produrrà delle sintesi estetiche e drammaturgiche assolutamente innovative di cui il mondo dell’opera e anche del teatro musicale, a volte ancora un po’ polveroso, ha bisogno. E questo è un filone.
Per voi è usuale intrecciare i linguaggi (musica, cinema, danza, architettura) come è avvenuto nella produzione su Zoroastre?
Quello di incrociare i linguaggi come è avvenuto e sta avvenendo in questa produzione di Zoroastre è un altro filone. Facciamo questo incrocio di linguaggi e cerchiamo di farlo non in maniera artificiosa. Oggi c’è una sorta di nuovo manierismo nell’affiancare i linguaggi, quasi non si vede più un quartetto d’archi senza che dietro ci sia un video, delle luci un po’ galeotte, dei movimenti di scena, qualche danzatore e tutto questo all’insegna di questa ricerca di effetti speciali più che di incrocio di linguaggi. Noi cerchiamo di farlo quando tutto questo ha una sua ragione di essere, non ho tempo qui per ricordare tutto quello che abbiamo fatto ma, in modo particolare, vorrei ricordare che abbiamo presentato a Rimini una Dante Symphonie che Liszt nel 1860 aveva pensato per essere presentata a Roma con una sorta di diorama. Liszt venne in Italia per rappresentare in anteprima questa sua Dante Symphonie, aveva commissionato a un pittore 27 quadri della Divina Commedia (che è l’argomento della Dante Symphonie) e voleva farne un diorama. Naturalmente non c’è riuscito. Noi siamo riusciti a rintracciare quei 27 quadri in una cantina di una nobildonna romana, ne abbiamo recuperati 7 e abbiamo a nostra volta costruito un diorama che scorreva sullo sfondo, proprio perché Liszt l’aveva pensato. E così abbiamo fatto a Dresda: anche lì abbiamo recuperato i vetrini di una lanterna magica che il compositore avrebbe voluto utilizzare per la stessa opera a Dresda, e l’abbiamo rappresentata. Anche in questo intreccio tra Casanova, Fellini, il cinema, l’architettura di questo nuovo spazio che abbiamo appena recuperato, un filo narrativo che mette insieme tutti questi linguaggi espressivi, c’è sembrato far parte dell’idea che noi abbiamo: produzioni che vogliamo fare, che nascono qui e che vanno anche in altri teatri.