Da quasi dieci anni è il fotografo ufficiale del Bolzano Festival Bozen e di Transart, i due festival che animano l’estate musicale bolzanina: che siano grandi direttori, orchestre giovanili, solisti o performer contemporanei, passano tutti sotto il suo obiettivo. Gregor Khuen-Belasi è stato a Dobbiaco per uno shooting di Theresia e ci siamo fatti raccontare qualcosa della sua esperienza professionale. “Dopo tanti anni di professione io mi considero un ritrattista, perché quello che mi interessa cogliere è la realtà delle persone che fotografo: proprio per questo motivo il momento che amo di più è il backstage nei camerini prima dell’inizio del concerto. E’ lì che molto spesso riesco a fare le foto migliori, anche se non sempre gli artisti sono disposti a farsi fotografare in una situazione che per certi aspetti è un po’ intima; oppure, come mi è successo recentemente con il direttore d’orchestra Herbert Blomstedt, mi viene chiesto di non utilizzare una foto che a me piace moltissimo ma che l’artista o il suo agente ritengono non adatta al personaggio.”
E cosa fai in quel caso?
“Accetto il volere dell’artista, anche se a malincuore. In teoria io la fotografia potrei usarla, perchè si tratta di un personaggio pubblico: ma è una questione di rispetto, di equilibri nei rapporti personali e professionali.”
Quali sono le difficoltà del tuo lavoro?
“Una buona fotografia è una questione di concentrazione e di tempo: durante un concerto io sto accucciato anche per venti minuti ad aspettare che arrivi ‘quel’ momento, e a un certo punto so che arriva. Il fotografo di un giornale viene e dopo qualche minuto se ne può andare, perché il suo lavoro riguarda la cronaca, io invece sono un documentarista. Per questo per fare buone foto di un concerto ci vuole anche preparazione: ad esempio è importante sapere come si muove un direttore – se è sempre girato verso i violini e guarda poco i violoncelli bisognerà essere posizionati sulla sinistra, altrimenti è un guaio. Recentemente ho fotografato la EUYO diretta da Xian Zhang e lei si muove tantissimo! Raramente ho visto un direttore muoversi così velocemente, a un certo punto si è piegata ed era più in basso dei musicisti, poi aveva questi capelli che volavano da tutte le parti: queste sono condizioni che mettono più in difficoltà rispetto ad una situazione più calma, più posata. Inoltre io credo che un fotografo di concerti debba anche prepararsi sulla musica in programma, ascoltarla, conoscerla.”
Dal Bolzano Festival passano i grandi nomi del concertismo internazionale: i grandi artisti sono persone difficili?
“Dipende: ricordo Ashkenazy, persona di grande umiltà e semplicità, che mi diede il permesso di fotografarlo senza tanti problemi. Quando Laurie Anderson venne a Bolzano le chiesi di poter organizzare un private shooting: lei mi rispose che ci avrebbe pensato, non avendo nessun riscontro ulteriore avevo pensato che non se ne sarebbe fatto nulla. Invece il giorno della conferenza stampa lei mi vide e disse: ‘Sei tu il fotografo che vuole fare uno shooting? Facciamolo adesso’. Ci sono poi quelli che sulla carta non concedono fotografie, come Radu Lupu: ma quando ha suonato a Bolzano io sono andato alle prove e mi ha permesso di fotografarlo. Anche Martha Argerich va presa con le pinze: da sola non vuole essere fotografata, ma quando suona con altri sì, e in una prova in cui suonava con Lilya Zylberstein l’ho fotografata in un momento di pausa, mentre si beveva una Coca-Cola: una foto molto più bella di quelle classiche dell’artista davanti al pianoforte. Poi ci sono quelli controllatissimi come Sokolov: una volta una fan (la nostra manager Noemi Ancona, ndr) l’ha abbracciato a sorpresa in camerino e io ho colto proprio quell’istante, catturando la sua espressione, la sua spontaneità.”
Digitale o analogico?
“Il digitale ovviamente è una risorsa incredibile: quello che soprattutto è cambiato nel passaggio è che ora si stampano pochissime fotografie. Prima era indispensabile: i professionisti passavano anche attraverso i provini per selezionare le foto migliori, ma poi si stampava, è ovvio. Ora il lavoro in camera oscura è stato sostituito dall’editing che si fa con photoshop. Un’altra conseguenza dell’uso del digitale è la quantità immensa di materiale che si produce: prima, col rullino, avevi 12, 24, 36 pose. Ora si scattano centinaia di foto in pochissimo tempo: io quando faccio uno shooting seleziono poi subito gli scatti migliori ma il resto non lo cancello, quindi devo avere sempre nuovi strumenti per l’archiviazione. Ogni tanto stampo le mie foto migliori: ora esistono anche tecnologie di stampa digitale avanzate, che garantiscono la persistenza per 150 anni. Mi piacerebbe poter raccogliere in un libro quelle più significative, rappresentano uno spaccato della storia musicale di Bolzano degli ultimi anni.”
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