L’allarme l’ha lanciato oggi il giornalista e critico musicale Sandro Cappelletto sulle pagine della “La Stampa”: “La scure del governo taglia due terzi della musica italiana”, titola il quotidiano torinese, all’indomani della nota pubblicata sul sito del MiBAC, Ministero per i Beni Artistici e Culturali, con i numeri dei finanziamenti 2015 alla cultura: “Oltre 60 realtà musicali sono state «non ammesse al contributo», cioè condannate a morte. Molte altre, pesantemente penalizzate, alcune premiate. In più di un caso, sfuggono i criteri delle scelte e l’oggettività che doveva essere garantita dai parametri del nuovo decreto appare penalizzata da decisioni tutt’altro che inattaccabili. Perché 750 mila euro in più all’Orchestra Sinfonica Siciliana e 240 mila in meno alla Toscanini di Parma? E perché, mentre dal governo giungono continui inviti alla ricerca e alla sperimentazione, punire le realtà più attive, il Centro Ricerche Musicali, di livello assoluto, l’Ex Novo Ensemble di Venezia, storico gruppo dedicato alla contemporanea, l’Associazione Nuova Consonanza di Roma, palestra di tanti giovani compositori?” E nel suo editoriale Alberto Mattioli affonda: “Le startup dello spettacolo sono punite, premiati gli amici degli amici. Una perfetta selezione al contrario, pura macelleria culturale.”
Molte associazioni culturali e istituzioni concertistiche che si sono viste tagliare inaspettatamente i fondi (o addirittura azzerati, come è successo all’Orchestra dell’Università Roma Tre o al Cemat) promettono ricorsi contro una situazione paradossale che secondo qualcuno ha come colpevole un algoritmo. I nuovi criteri introdotti quest’anno sono infatti basati su un algoritmo che, come qualcuno temeva, ha dato risultati sorprendenti. E un mese fa, il 7 luglio, la compositrice Silvia Colasanti si era dimessa dalla Commissione del Fus incaricata di valutare le domande per i contributi 2015, proprio in segno di protesta contro l’inaffidabilità del sistema La compositrice romana ha inviato una lettera al ministro Dario Franceschini e al direttore generale dello Spettacolo dal vivo Salvatore Nastasi, motivando la sua decisione col fatto che l’attuale legge (il D. M. del 1° luglio 2014 sullo spettacolo dal vivo) lascerebbe poco spazio all’aspetto qualitativo nella valutazione dell’attività delle varie istituzioni musicali, mettendola dunque nell’impossibilità di perseguire gli obiettivi culturali legati al suo ruolo. Eppure il direttore generale del Ministero, Salvatore Nastasi, che aveva fortemente voluto questi nuovi criteri, aveva affermato che avrebbero portato come risultato «non più finanziamenti soggettivi e discrezionali, ma esclusivamente basati sul merito e l’oggettività».
Il paradosso di agosto è la foglia di fico che cade dalle vergogne di un sistema spesso incapace di valutare l’arte, in cui alle magagne del favoritismo si risponde con l’esacerbazione delle pastoie burocratiche; baratri cui le riposte del mecenatismo privato sono ancora, soprattutto nel mondo musicale, gocce nell’oceano.